L’intelligenza artificiale corre in Europa, ma non ovunque allo stesso passo. I dati Eurostat diffusi a inizio 2025 mostrano una crescita rapida nell’adozione delle #tecnologie di #IA da parte delle #imprese: nel 2024 il 13,5% delle aziende europee con almeno dieci dipendenti ha dichiarato di averle integrate nei propri processi, contro l’8% dell’anno precedente. Un balzo di oltre cinque punti percentuali in appena dodici mesi, che fotografa l’accelerazione in atto. Ma dietro alla media si nasconde una realtà molto più sfaccettata, con forti differenze regionali e settoriali.
I paesi del Nord Europa guidano la classifica. In Danimarca più di un’impresa su quattro (27,6%) utilizza strumenti di #intelligenzaartificiale, seguita da Svezia (25,1%) e Belgio (24,7%). Numeri che raccontano un tessuto produttivo già proiettato verso il futuro, capace di investire in innovazione e di sfruttare il potenziale di queste tecnologie per migliorare competitività ed efficienza. All’estremo opposto si collocano Romania, Polonia e Bulgaria, con percentuali rispettivamente del 3,1%, 5,9% e 6,5%. Un divario che non riguarda solo le risorse economiche, ma anche la disponibilità di competenze, la qualità delle infrastrutture digitali e le politiche di sostegno messe in campo dai singoli governi.
E l’Italia? Il nostro Paese resta sotto la media europea. Nel 2024 soltanto l’8,2% delle imprese italiane ha adottato l’IA, un dato in crescita rispetto al 5,05% registrato l’anno precedente ma ancora ben lontano dai paesi leader. Una distanza che pesa soprattutto se si considera la struttura produttiva italiana, composta in larga parte da piccole e medie imprese che fanno più fatica ad affrontare i costi iniziali, a reperire figure professionali specializzate e a inserirsi in reti di innovazione avanzata.
Se si guarda ai settori, l’uso dell’IA è tutt’altro che uniforme. Le imprese del comparto “informazione e comunicazione” sono in testa, con quasi la metà (48,7%) che sfrutta queste tecnologie, seguite dai servizi professionali, scientifici e tecnici, dove la quota scende al 30,5%. Molto più indietro l’industria, l’edilizia e l’immobiliare, tutti sotto il 16%. La dimensione dell’azienda resta un fattore decisivo: le grandi imprese, con oltre 250 dipendenti, adottano l’IA molto più rapidamente rispetto alle PMI, che rappresentano però la spina dorsale delle economie mediterranee e dell’Est Europa.
Ma che cosa fanno concretamente le imprese con l’IA? Le applicazioni più diffuse riguardano l’analisi dei testi (text mining), adottata dal 6,9% delle aziende, la generazione di linguaggio scritto o parlato (5,4%) e il riconoscimento vocale (4,8%). Strumenti che vanno dall’analisi di grandi quantità di dati testuali, alla creazione automatica di contenuti, fino ai sistemi di interazione vocale che sempre più spesso supportano servizi clienti e processi interni.
Il divario europeo nell’adozione dell’intelligenza artificiale non è dunque soltanto una questione di numeri, ma un indicatore della capacità dei singoli paesi di investire in capitale umano, infrastrutture e politiche mirate. Se Danimarca, Svezia e Belgio mostrano come l’IA possa già diventare parte integrante della vita delle imprese, Romania, Bulgaria e Polonia evidenziano quanto possa essere difficile colmare il gap senza un forte sostegno pubblico e privato. L’Italia, nel mezzo, corre ma a passo ridotto, rischiando di perdere terreno in un contesto globale in cui le tecnologie emergenti si affermano con velocità impressionante.
L’IA non è più un tema da futuristi o visionari, ma un terreno concreto di competizione economica. I paesi che sapranno muoversi per tempo potranno sfruttarne i benefici in termini di produttività, innovazione e attrattività. Gli altri, invece, rischiano di rimanere spettatori, pagando un prezzo alto in termini di competitività e crescita. L’Europa ha imboccato la strada dell’intelligenza artificiale: la sfida, ora, è percorrerla tutta senza lasciare nessuno indietro.