Social-first branding nel food & wine, l’influencer economy conquista la Gen Z

Nel panorama digitale di oggi, parlare di cibo non significa più solo parlare di sapori, ricette o prodotti tipici. Soprattutto per la #GenerazioneZ, il cibo è diventato un vero e proprio linguaggio culturale, un mezzo per raccontare valori, identità e stili di vita. A dimostrarlo sono i dati dello studio “When Food Speaks Culture”, realizzato da Flu (Uniting Group) in collaborazione con il Politecnico di Milano, che fotografa con chiarezza una realtà in rapida trasformazione: l’85% dei giovani under 26 scopre nuovi #brand del settore #wine&food attraverso i #social network.

#Instagram, #TikTok e #YouTube sono oggi le vere piazze digitali in cui il cibo si racconta, si vive, si condivide. In questi spazi, l’estetica dei contenuti, l’autenticità delle narrazioni e la coerenza valoriale diventano fondamentali. I giovani non vogliono più pubblicità patinate o spot tradizionali: cercano volti reali, storie credibili, linguaggi che li rappresentino. E chi riesce a parlare questa lingua – quella della cultura pop, dell’inclusività, della sostenibilità – conquista la loro attenzione.

In questo contesto, il ruolo degli #influencer è decisivo. Non si tratta più di semplici testimonial, ma di veri e propri “traduttori culturali”, capaci di interpretare i valori di un brand e renderli accessibili al pubblico giovane. Alcuni reinventano la tradizione culinaria in chiave pop, altri raccontano i prodotti come esperienze, altri ancora li collegano a battaglie valoriali come l’etica ambientale o la diversità. Il loro potere non è solo quello di “amplificare”, ma di generare senso, di costruire connessioni profonde tra marchio e community.

Eppure, nonostante l’apparente affinità tra Gen Z e mondo digitale, emergono anche segnali di saturazione: l’83% dei giovani ammette di aver fatto esperienze di “digital detox” e molti si interrogano sull’effettiva utilità di piattaforme come TikTok o Snapchat. Questo non significa che il dialogo digitale sia destinato a esaurirsi, ma piuttosto che deve evolversi. I brand sono chiamati a costruire una relazione più autentica e meno invadente, fondata su fiducia, coerenza e valori condivisi.

Il report individua tre grandi sfide per i marchi del food & beverage:

  1. Parlare a pubblici frammentati: la Generazione Z è complessa e variegata, e richiede linguaggi differenziati, capaci di essere inclusivi ma precisi, coinvolgenti ma credibili.

  2. Essere coerenti con i valori emergenti: benessere, sostenibilità, trasparenza. Non basta più “essere buoni”, bisogna anche dimostrare perché lo si è, lungo tutta la filiera.

  3. Rivalutare il ruolo degli influencer: da strumenti di visibilità a partner strategici. Solo il 15% dei brand coinvolge i creator in progetti valoriali, e appena il 7% li inserisce in strategie di conversione. È tempo di cambiare paradigma.

Non a caso, molti marchi iniziano a includere gli influencer fin dalle prime fasi del processo creativo. Il modello “Influencer Impact Flow” proposto da Flu suggerisce quattro momenti fondamentali: individuazione dei trend, definizione del concept, lancio del prodotto e attivazione della community. Un approccio integrato, che permette di costruire campagne autentiche e realmente efficaci.

Per misurare questo impatto, inoltre, non bastano più le “vanity metrics” (like, follower, views). Il nuovo marketing guarda a indicatori più profondi: l’impatto culturale, la coerenza reputazionale, il coinvolgimento della community e l’efficacia commerciale.

Come afferma Luca Palomba, mente dietro il progetto “Chef in Camicia”, “i brand stanno capendo che non basta più dire ‘è buono’, ma bisogna raccontare anche perché lo è, a livello etico, ambientale, sociale. E quando questi valori coincidono con i miei, è naturale volerli raccontare”.

In definitiva, il futuro del marketing alimentare sarà sempre più ibrido: un intreccio di cultura, narrazione, partecipazione e responsabilità. Un percorso in cui i social media non sono solo strumenti, ma spazi culturali; gli influencer non sono megafoni, ma interpreti; e il cibo non è più solo da mangiare, ma da vivere, raccontare e condividere.

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